L’Italia è un paese ricco di diverse tipologie di vitigni, una varietà così vasta che ogni regione possiede le proprie uve autoctone: un patrimonio di oltre 400 specie diverse, che i produttori stanno cercando di rivalutare come non era mai accaduto prima. Molte di queste uve hanno reso famoso il vino Italiano nel mondo. Ma c’è un vitigno che per la sua tradizione, il prestigio dei grandi vini che ne derivano, la sua varietà racconta una storia particolarmente affascinante: il Sangiovese.
Il Sangiovese è l’uva a bacca rossa più coltivata in Italia, la maggior parte nelle regioni centrali: Toscana ed Emilia Romagna in primis, poi Umbria, Marche, Lazio. Se ben coltivato, con almeno 4000 piante per ettaro, è il vino dall’equilibrio perfetto, con profumi floreali raffinati. È adattissimo all’invecchiamento se affinato in botti grandi, mentre un uso troppo aggressivo della barrique ne appiattisce le rotondità.
Sono a oggi 243 i vini DOC e DOCG dove viene impiegato il Sangiovese.
In Toscana è praticamente presente in ogni vino rosso ed è l’uva principale dei vini più celebri della regione: Chianti, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano.
Viene vinificato in purezza ma anche insieme alle altre uve locali o, meno frequentemente, alle uve internazionali. Il BRUNELLO DI MONTALCINO, celebrità della Toscana nel mondo, è prodotto esclusivamente con Sangiovese Grosso, localmente chiamato Brunello. L’altra diva toscana, il NOBILE DI MONTEPULCIANO è anch’esso prodotto con Sangiovese Grosso, localmente chiamato Prugnolo Gentile – al quale sono in genere aggiunti Canaiolo Nero, Mammolo e Colorino. Innumerevoli sono inoltre i vini IGT della Toscana o i grandi SUPER TUSCANS che vengono prodotti con Sangiovese, sia in purezza sia miscelato ad altre uve.
Il maggiore rappresentante storico del Sangiovese è il CHIANTI CLASSICO.
Era il 1872 quando il Barone Bettini Ricasoli del Castello di Brolio stabilì la formula che dava vita al Chianti Classico. Dopo trent’anni di studi e di investimenti in ricerca e tecnologia per quei tempi all’avanguardia e con metodo scientifico assolutamente contemporaneo, il Barone di Ferro (come era chiamato dai suoi contadini) fissa la formula in una famosa lettera indirizzata al Prof. Cesare Studiati dell’Università di Pisa:
… Mi confermai nei risultati ottenuti già nelle prime esperienze cioè che il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana…
Recentemente il disciplinare è stato modificato, abbandonando la Malvasia, come già ipotizzava Bettino Ricasoli, lasciando protagonista il Sangiovese, con una quota massima consentita fino al 20% di altre uve a bacca rossa.
Essendo la vite più coltivata in Italia e che dà vita ad alcuni tra i vini più prestigiosi e famosi nel mondo, Il Sangiovese ha una forte risonanza e un forte peso nel mondo della vite e del vino.
Per questo negli anni sono state studiate molto sia le origini del nome che la provenienza del territorio. Quest’ultima molto contesa.
Fra le parole etrusche identificate e tradotte e anche fra quelle non decifrate, ce ne sono alcune che hanno delle assonanze con “Sangiovese”. Questa ricerca etimologica rafforza l’idea di un’antica origine e diffusione del Sangiovese in area etrusca.
Ad esempio la parola Sanisva (vicinissimo al termine dialettale romagnolo “sanzvés”) che ha il valore di padre o di antenato defunto e si potrebbe collegare al vino dei padri o al vino per una offerta funeraria ai famigliari.
Il collegamento ancestrale con il sangue, uno dei simboli più antichi e più strettamente legati al vino, ha portato alle interpretazioni che la parola Sangiovese derivasse da:
•Sanguis Jovis, cioè il sangue di Giove, oppure Sangue dei gioghi collinari o Giovevole al sangue
Forse leggenda o forse verità è la storia attribuita ad un monaco cappuccino del convento di Sant’Arcangelo di Romagna, vicino al monte Giove: in occasione di un banchetto in onore di Papa Leone XII, alla domanda del Pontefice sul nome dello squisito nettare servito dai monaci, il monaco rispose “Sanguis Jovis”, sangue di Giove.
Un’altra interpretazione vuole che il nome derivi da San Giovanni: il Sangiovese è un’uva che germoglia a fine giugno per la festa di San Giovanni Battista e per questo in alcune parti della campagna toscana è chiamata “Sangiovannina”. Altri invece affermano che derivi da San Giovanni Valdarno, dove è nata. E’ certo che il Sangiovese era coltivato sia dagli Etruschi e in seguito dai Romani. Più probabile quindi la derivazione dal latino “jugalis” (passato ad esempio nel Francese antico a “jouelle” per indicare il sostegno somigliante a un giogo che collega due viti).
Se esiste un vino che per storia e personalità attira da sempre studiosi, intenditori e semplici appassionati, questo è il Sangiovese.
Si trova per la prima volta citato con il nome di “Sangiogheto” dal celebre agronomo fiorentino Giovanvettorio Soderini nel suo “Coltivazione toscana delle viti e d’alcuni alberi” del 1590: di Il Sangiogheto è “sugoso e pienissimo vino” “è un vitigno “che non fallisce mai”. Il “Sangioeto” è raffigurato come una delle principali varietà di uva prodotte nel Granducato di Toscana nel Dipinto del 1700 dal titolo “Uve” di Bartolomeo Bimbi (1648-1729) Specialista nella raffigurazione di natura morta, al servizio dei Medici. Nel 1726 Cosimo Trinci, famoso agronomo pistoiese, fa gli elogi del San Zoveto nell’opera “L’Agricoltore sperimentato”.
”Il San Zoveto è un’uva di qualità bellissima e ne fa ogni anno infinitamente moltissima”
Nel 1773 Giovanni Cosimo Villifranchi, medico e botanico fiorentino, lo segnala nella “Oenologia Toscana”, “sopra i vini ed in specie toscani” : “S.Gioveto. Uva rossa quasi nera, tonda, di mediocre grossezza buccia dura… Suole essere abbondante e non fallisce quasi nessun anno… Fa il vino molto colorito e spiritoso… Comunemente si mescola con altre uve e mirabilmente rende corpo e forza ai vini deboli.”
Nell’Ottocento Giorgio Gallesio pomologo ligure parla del San Gioveto nella “Pomona Italiana”. Nel suo viaggio in Toscana del 1833 osserva il Sangioveto fra le uve dominanti nel territorio senese. Compie per primo vari studi comparativi e arriva a concludere che il Sangioveto sia “un’uva tutta toscana e forse la più preziosa delle uve di questo paese tanto caro a Bacco”
Dalla Toscana e dalla Romagna, a fine 1800, la coltivazione del Sangiovese si estende ad altre regioni italiane come Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio. In queste regioni varie testimonianze parlano sempre di un’originaria provenienza toscana o romagnola.
Quindi l’’ipotesi fino ad oggi più accreditata è che il Sangiovese sia un vitigno autoctono della Toscana. Lo si trova già associato alle rotte commerciali degli Etruschi che lo avrebbero introdotto nella regione.
Le prime analisi genetiche svolte agli inizi degli anni 2000 hanno mostrato la prima sorpresa: il Sangiovese non è imparentato con nessuna delle viti selvatiche Toscane. Mostra una parentela di primo grado con un vitigno minore di origini incerte, il Ciliegiolo, coltivato in Toscana ma anche in alcune regioni meridionali sotto altri nomi. Il Sangiovese potrebbe essere il figlio del Ciliegiolo oppure uno dei due genitori.
Nel 2007 un gruppo di ricerca tutto italiano, svolgendo ulteriori analisi genetiche ipotizza che il Sangiovese sia il figlio del Ciliegiolo. L’altro genitore potrebbe essere una oscura varietà calabrese recuperata in Campania in una vecchia vigna e chiamata localmente “Calabrese di Montenuovo”.
Nel 2013 un gruppo di ricerca del CRA di Bari avanza una terza ipotesi: il Sangiovese è in effetti figlio del Ciliegiolo, ma l’altro vitigno genitore potrebbe essere una vecchia varietà meridionale, ritenuta perduta ma recuperata recentemente, chiamata Negrodolce.
Uno studio del 2014 conferma che il Sangiovese fosse coltivato nel meridione, in particolare in Sicilia e in Calabria, tanto a lungo che incrociandosi con il Mantonico di Bianco (o Montuonico, vitigno calabrese) ha generato il Nerello mascalese, il Gaglioppo di Cirò e il Mantonicone, confermando gli studi precedenti.
Per la certezza assoluta della provenienza del Sangiovese dovremmo attendere studi genetici più sofisticati.
Tutti gli indizi però, uniti all’osservazione che il Sangiovese è tuttora coltivato in Calabria e in Sicilia sotto altri nomi, suggeriscono fortemente l’ipotesi che il Sangiovese non sia un antico vitigno toscano come si pensava ma sia nato nell’Italia meridionale in tempi antichi, da un incrocio spontaneo oppure volontario, e che sia stato trapiantato in Toscana.
Tuscany è un marchio di CARTIERE CARRARA S.p.A. – V.le S. Lavagnini, 41 – 50129 Firenze (FI), Italia – info@www.labellezzadellacarta.it – Privacy