Agli ingredienti si può aggiungere anche dell’olio extravergine d’oliva e 1 uovo per ogni chilogrammo di farina.
I pici sono una sorta di laccio, un cordone di acqua e farina che lega diverse realtà, ciascuna delle quali con il suo condimento favorito.
Giovanni Righi Parenti nel libro La cucina toscana in 800 ricette tradizionali (1991) li definisce “lontani parenti degli spaghetti”, ma molto più corposi. I pici, insieme alle pappardelle, condividono il primato e rappresentano un marchio di fabbrica della gastronomia toscana: la pasta, di forma spessa, porosa al tatto e al gusto, e rigorosamente fatta a mano. Una pasta che non presenta una grande varietà nella forma e nell’impasto, ma che si presta ad essere accompagnata con diversi condimenti.
I pici sono di origine etrusca. La famosa Tomba dei Leopardi di Tarquinia del V secolo a.C. raffigura un banchetto: un servo porta a tavola una scodella contenete una pasta lunga, irregolare, che presumibilmente possiamo considerare i primi “antenati dei pici”. Dalla cittadina del viterbese i pici poi sarebbero arrivati in Val di Chiana, e da lì in tutta la Toscana.
Sembra che il nome derivi da “appiciare” che nel gergo culinario toscano indica il gesto che si fa con il palmo della mano per far prendere all’impasto la forma del picio. Altri rintracciano l’origine del nome nella località di San Felice in Pincis (oggi San Felice), vicino Castelnuovo Berardenga. Infine qualcuno ritiene di poter cogliere un collegamento con il pigelleto, l’abete della riserva naturale del Monte Amiata, bianco e dalla forma stretta e allungata, proprio come quella dei pici. Al di là dell’etimologia del nome, sono molti oggi i modi con i quali viene chiamata questa pasta. In Toscana ad esempio nelle zone di Montepulciano, Pienza e Montalcino si chiamano “pinci”.
Per la semplicità degli ingredienti i pici sono un piatto “povero”, tipico della realtà contadina. L’impasto è fatto solo con acqua, farina e sale: l’uovo è presente solo nelle tavole dei ricchi o usato in occasioni particolari. Veniva mangiata solo con un po’ di “olio bono” o con un trito di cipolla e sale. Ma ogni comunità o piccolo paese ci offre una variante di questo straordinario piatto.
La vera ricchezza di questa pasta sta infatti soprattutto nella grande varietà dei condimenti. A Celle sul Rigo regna il picio all’aglione, (aglione, zenzero, olio e pomodoro), a Montepulciano con le briciole ottenute da pane raffermo. A Montalcino con il ricchissimo ragù di vaccina, pollo, prosciutto, salsiccia e fegatini, che una volta veniva cucinato solo per il pranzo delle domenica. Nella zona dell’Amiata i pici sono conditi con funghi freschi, invece nelle zone lacustri di Chiusi con un sugo a base di uova di luccio (da febbraio a maggio). In Valdichiana i pici vengano serviti con il “sugo bianco di nana”, piatto straordinariamente interessante perché ci ricorda quando il fondo valle era impaludato dalle frequenti esondazioni della Chiana, prima degli interventi di regimazione idraulica di Pietro Leopoldo di Toscana. A Siena con ragù di carne e di cinghiale.
Attenzione: i pici fatti a macchina o di produzione industriale, non hanno nulla a che fare con i “veri pici fatti a mano”: quelli che si trovano nelle famiglie, nelle botteghe o nei ristoranti nel senese, che hanno conservato i tratti della autenticità e della tradizione.
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