Gli storici cappelli di paglia di Signa

Da sempre Signa, alle porte di Firenze, è sinonimo di lavorazione della paglia e delle tipiche pagliette conosciute in tutto il mondo. Una maestria che da secoli si tramanda di generazione in generazione fino ad oggi. Signa infatti è tutt’ora la sede delle imprese di cappelli più prestigiose del mondo e la paglia domina ancora. Nella zona infatti, dopo la mietitura, le “rotoballe” di paglia interrompono le distese uniformi dei campi di grano fino a Fiesole, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Poggio a Caiano, Brozzi, Quarrata e Prato. Ci ricordano che, una volta estratti i chicchi, anche per gli steli c’è un futuro: non solo nelle stalle ma fino ai guardaroba più sofisticati del mondo.

IL CAPPELLO DI PAGLIA DI SIGNA


L’essere umano ha sempre avuto bisogno di proteggersi la testa, dal freddo e dal sole. Dapprima utilizzava pellicce o grandi foglie e dopo ha imparato a intrecciare e a tessere fibre animali e vegetali. Segale e grano fornirono la paglia e gli altri materiali per realizzare i cappelli che mantengono immutata da millenni la struttura di base.

L’ORIGINE DEL NOME


Nella zona di Signa fin dal Medioevo si è sviluppata l’arte di realizzare i cappelli di paglia. I documenti attestano che già nel 1341 il commercio era fiorente.

L’ELEGANZA DEL CINQUECENTO


Nel ‘500 si raggiunse un tale livello di raffinatezza che il Granduca Cosimo I ne mandò in dono numerosi esemplari a vari sovrani d’Europa. In quel periodo I produttori di cappelli di paglia si riunirono in una categoria professionale e i cappelli di paglia compaiono nell’elenco dei prodotti soggetti a una tassa doganiera.

IL SETTECENTO E “L’INVENZIONE” DELLA PAGLIA TOSCANA

Fino al settecento la paglia destinata ai cappelli era un materiale di scarto proveniente dalla lavorazione del pane. A creare la paglia toscana fu un bolognese, Domenico di Sebastiano Michelacci che nel 1718 ebbe l’intuizione di seminare il grano marzuolo in maniera molto fitta e di raccoglierlo prima che giungesse a maturazione, affinchè la paglia non si indurisse.

Le piantine per cercare la luce si allungavano tanto da regalare una paglia più lunga e morbida di colore chiaro ed uniforme. Gli steli venivano sbarbati perché la linfa non sgorgasse ma evaporasse dalle fibre sbiancandole: per questo veniva lasciata per tre giorni e tre notti all’esposizione alternata del sole e della guazza. Raccolta e quindi sfilata veniva poi selezionata e raccolta a mannelli da distribuire alle lavoranti per l’intreccio manuale e, dagli anni venti del novecento in area fiesolana, a telaio.

L’OTTOCENTO: DA SIGNA IN TUTTO IL MONDO


Con l’arrivo dell’ottocento i cappelli di paglia di Signa divennero apprezzatissimi in tutto il mondo per la finezza dei loro intrecci, frutto del lavoro e della maestria degli artigiani d’eccellenza della zona. I cappelli navigavano lungo l’Arno e suoi canali per raggiungere il porto di Livorno, dove si imbarcavano per tutto il mondo. Gli inglesi li adoravano in modo particolare, tanto da battezzare quei modelli “Laghorn”, versione anglo-latina del nome della città.

LA MEDAGLIA D’ONORE DI NAPOLEONE III AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE DI SIGNA


All’Esposizione universale di Parigi del 1855, nella categoria “Fabbricazione degli oggetti di moda e fantasia”, gli operai e le operaie produttori di trecce per cappelli sono premiati con una medaglia d’onore consegnata dall’imperatore Napoleone III, con la seguente motivazione: «Per quanto concerne l’industria della paglia, la Toscana deve essere classificata ai primi posti. L’esposizione dei fabbricanti di questo Paese è delle più notevoli: presenta una raccolta di trecce di paglia, dalle più ordinarie alle più fini. Anche il campionario di cappelli è molto bello e nel numero si dimostrano superiori in finezza a tutto ciò che è stato fatto fino ad oggi».
I più rinomati e prestigiosi erano i cappelli fabbricati a Brozzi.

1896: LA LOTTA DELLE TRECCIAIOLE

Arriva la fama e arriva anche la concorrenza, a prezzi più bassi. E la crisi fu dura. Contro il diminuire progressivo dei salari, nel Maggio 1896 prende avvio la protesta delle trecciaiole.
La prima sollevazione, al grido di “pane e lavoro”, si ha a Peretola; seguono Campi, Brozzi, Signa e Lastra.
Ma in breve tempo, si estende a tutta l’area della piana fiorentina e pratese e per numero di persone coinvolte e area territoriale interessata, le manifestazioni saranno tra le più ampie dell’ottocento italiano.
“Barrocci” di fattorini pieni di trecce sono bruciati, tram a vapore che portavano manufatti fermati.
A Lastra un corteo di donne partito da Signa e accresciutosi strada facendo, provoca tumulti che costringono alla chiusura la fabbrica Santini.
L’anno seguente ancora Signa e Lastra saranno al centro di scioperi di trecciaiole per una paga migliore.

Ai primi del novecento, con la ripresa di domanda per il “cappello di paglia di Firenze”, la crisi sarà infine superata.

LA RIPRESA DEL NOVECENTO


Nel novecento il cappello di paglia di Signa torna di moda. Si aprì ben presto un dibattito se la paglia toscana coltivata altrove avesse la stessa resa e la risposta era già stata data nell’ottocento dal Dictionnaire de l’industrie manufacturière, commerciale et agricole «sono sempre le voluttuose valli dell’Arno che, sole, possiedono, insieme a quelle dei dintorni di Pistoia e Firenze, il privilegio di fornire a tutto il mondo questi leggeri copricapi destinati a proteggere dai brucianti raggi del sole il colorito di tutte le donne».

IL CAPPELLO DI SIGNA NEL CINEMA

Nel 1928 esce nelle sale cinematografiche
“Un cappello di paglia di Firenze” (Un chapeau de paille d’Italie)
film muto diretto da René Clair. È l’adattamento cinematografico della commedia in cinque atti Un chapeau de paille d’Italie di Eugène Labiche e Marc-Michel che debuttò il 14 agosto 1851 a Parigi, al Théâtre du Palais-Royal
Da allora il cappello di paglia toscana ha avuto un ruolo chiave nella costruzione di alcuni dei più emblematici personaggi cinematografici con attori e registi che hanno associato la loro immagine ad un determinato modello di copricapo quali Francis Ford Coppola, Harrison Ford, Julian Sands, fino all’indimenticabile Mariangela Melato in Travolti da un insolito destino… di Lina Wertmuller. Come non ricordare Julia Roberts che in Pretty Woman indossa gli eleganti cappelli in paglia o Cher in Un tè con Mussolini di Franco Zeffirelli, o la cloche in paglia che Samantha Jones, interpretata da Kim Cattrall, sfoggia nel film di successo Sex and the City.

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